Gennaio 2012
Se vostra figlia o vostro figlio volessero seguire una vocazione religiosa come reagireste?
E se fosse vostra figlia?
«Mamma, papà, devo dirvi una cosa».
Mariangela Pozzi stava lavando i piatti, era gennaio di quattro anni fa. «Ho deciso di entrare in convento». Paola aveva 22 anni, faceva l’Accademia di Belle arti a Como, aveva dato tutti gli esami. «Siamo ammutoliti. Le abbiamo chiesto se ci aveva pensato bene. Abbiamo posto solo una condizione: che discutesse la tesi». Così è stato. Adesso la figlia è diventata suor Paola, vive nel Monastero domenicano di Pratovecchio, in clausura, e tra due anni potrà pronunciare la professione definitiva.
Nell’epoca del laicismo assoluto, dominato dal fare e dell’avere, crea sconcerto una vocazione religiosa in famiglia. Mariangela prova a spiegare il suo smarrimento: «Paola è sempre stata vivacissima, spensierata, le piaceva viaggiare. Non è che la vedessi sposata. Ma la vedevo “libera”. Il punto è che l’amore umano si capisce, quello spirituale no. Quando però ha fatto la sua professione temporanea aveva un sorriso così bello, luminoso, che se fingeva di essere contenta, fingeva proprio bene».
A spiazzare i genitori, oggi, è l’età in cui si manifesta il desiderio di prendere i voti. «Siamo diciannove “sorelle”, dai 26 ai 98 anni: due hanno 31 anni, una 37, una 39, una 41 e poi si sale. L’ultima a entrare era avvocato e il fratello, anche lui legale, alla prima telefonata le ha raccomandato di non firmare nulla!», scherza suor Giovanna, la «maestra» del monastero di Pratovecchio, cioè responsabile delle giovani in formazione. Lei entrò a 25 anni, da segretaria d’azienda.
«Molti vedono la clausura come chiusura, mentre per noi è un mezzo, non il fine. Un padre e una madre stanno male perché per loro carriera e ambizioni sono messe in un pacco e buttate via. Magari era pronto l’abito nuziale. Ogni incomprensione poi però si ricompone».
Così è successo a Diego Nava, 72 anni di Reggio Calabria, che quando la primogenita esordì «papà ti devo dire una cosa», le disse che lo considerava un «tradimento» verso di lui. «Bravissima a scuola, maturità classica, laurea in Scienze biologiche e specializzazione in Patologia clinica con il massimo dei voti: insomma, per me fu uno choc». Superato.
Non sempre va così bene. Ricorda Mariateresa Zattoni, consulente familiare e docente all’Istituto Giovanni Paolo II: «Un padre per cinque anni non volle rivolgere la parola alla figlia. Era un piccolo industriale e quell’unica femmina, con la sua laurea in Economia, era perfetta per diventare amministratrice dell’azienda di famiglia. Si sono ritrovati quando lui si è ammalato di cancro e lei per tre mesi, gli ultimi, lo ha assistito in ospedale ogni notte. Le disse infine: “Non ti conoscevo così”».
Curiosamente, i più cattolici sono quelli che vivono con maggiore disorientamento la scelta del figlio. «È un paradosso. Una madre catechista incoraggiò il figlio ad andare prima dallo psicologo, altri si sono informati sui rapporti con le ragazze, come fosse quello il problema. Insomma, ho visto totale impreparazione dove era meno prevedibile», spiega don Mario Aversano, rettore del seminario propedeutico diocesano di Torino. «In alcuni casi l’opposizione dei genitori assume un peso talmente forte da far procrastinare la decisione o addirittura annullarla».
Don Carmine Ladogana per undici anni ha guidato il seminario diocesano di Cerignola-Ascoli Satriano. Una vocazione adulta, la sua. «Lavoravo in Regione Puglia. Mio padre disse che me ne sarei potuto pentire. La preoccupazione sua, e di tanti genitori qui al Sud, è il celibato. Temono la solitudine. Ho sentito le stesse persone che consideravano in astratto una benedizione avere un figlio sacerdote poi disperarsi: “Proprio a me il Padreterno doveva togliermelo!”».
«I miei sono stati perplessi, ma gli riconosco di non aver provato a farmi cambiare idea. E sì che non ho lasciato molto tempo per abituarsi. A luglio 2005 mi sono laureato in Scienze della comunicazione, e già collaboravo con una radio privata; a settembre ho detto che sarei entrato in seminario; a ottobre ero lì», sintetizza don Daniele Antonello, 31 anni, viceparroco a Manzano (Udine).
Nel 2009 in Italia sono stati ordinati 405 nuovi sacerdoti, sette in più rispetto al 2008. Don Massimo Camisasca, da 27 anni rettore al San Carlo di Roma, ha avuto circa 200 studenti, la metà è diventata sacerdote. «Sono generazioni molto diverse, è come se fossero passati 200 anni. La prima reazione in casa è lo sconcerto, ed è naturale, ci sono tante aspettative su un figlio, magari unico, lo hanno visto laurearsi, portare a casa la fidanzata. Non sono assenti i ricatti affettivi, soprattutto da parte delle madri. Ma infine quando vedono il figlio contento e realizzato si placa tutto».
Se vostra figlia o vostro figlio volessero seguire una vocazione religiosa come reagireste?
E se fosse vostra figlia?
Mariangela Pozzi stava lavando i piatti, era gennaio di quattro anni fa. «Ho deciso di entrare in convento». Paola aveva 22 anni, faceva l’Accademia di Belle arti a Como, aveva dato tutti gli esami. «Siamo ammutoliti. Le abbiamo chiesto se ci aveva pensato bene. Abbiamo posto solo una condizione: che discutesse la tesi». Così è stato. Adesso la figlia è diventata suor Paola, vive nel Monastero domenicano di Pratovecchio, in clausura, e tra due anni potrà pronunciare la professione definitiva.
Nell’epoca del laicismo assoluto, dominato dal fare e dell’avere, crea sconcerto una vocazione religiosa in famiglia. Mariangela prova a spiegare il suo smarrimento: «Paola è sempre stata vivacissima, spensierata, le piaceva viaggiare. Non è che la vedessi sposata. Ma la vedevo “libera”. Il punto è che l’amore umano si capisce, quello spirituale no. Quando però ha fatto la sua professione temporanea aveva un sorriso così bello, luminoso, che se fingeva di essere contenta, fingeva proprio bene».
A spiazzare i genitori, oggi, è l’età in cui si manifesta il desiderio di prendere i voti. «Siamo diciannove “sorelle”, dai 26 ai 98 anni: due hanno 31 anni, una 37, una 39, una 41 e poi si sale. L’ultima a entrare era avvocato e il fratello, anche lui legale, alla prima telefonata le ha raccomandato di non firmare nulla!», scherza suor Giovanna, la «maestra» del monastero di Pratovecchio, cioè responsabile delle giovani in formazione. Lei entrò a 25 anni, da segretaria d’azienda.
«Molti vedono la clausura come chiusura, mentre per noi è un mezzo, non il fine. Un padre e una madre stanno male perché per loro carriera e ambizioni sono messe in un pacco e buttate via. Magari era pronto l’abito nuziale. Ogni incomprensione poi però si ricompone».
Così è successo a Diego Nava, 72 anni di Reggio Calabria, che quando la primogenita esordì «papà ti devo dire una cosa», le disse che lo considerava un «tradimento» verso di lui. «Bravissima a scuola, maturità classica, laurea in Scienze biologiche e specializzazione in Patologia clinica con il massimo dei voti: insomma, per me fu uno choc». Superato.
Non sempre va così bene. Ricorda Mariateresa Zattoni, consulente familiare e docente all’Istituto Giovanni Paolo II: «Un padre per cinque anni non volle rivolgere la parola alla figlia. Era un piccolo industriale e quell’unica femmina, con la sua laurea in Economia, era perfetta per diventare amministratrice dell’azienda di famiglia. Si sono ritrovati quando lui si è ammalato di cancro e lei per tre mesi, gli ultimi, lo ha assistito in ospedale ogni notte. Le disse infine: “Non ti conoscevo così”».
Curiosamente, i più cattolici sono quelli che vivono con maggiore disorientamento la scelta del figlio. «È un paradosso. Una madre catechista incoraggiò il figlio ad andare prima dallo psicologo, altri si sono informati sui rapporti con le ragazze, come fosse quello il problema. Insomma, ho visto totale impreparazione dove era meno prevedibile», spiega don Mario Aversano, rettore del seminario propedeutico diocesano di Torino. «In alcuni casi l’opposizione dei genitori assume un peso talmente forte da far procrastinare la decisione o addirittura annullarla».
Don Carmine Ladogana per undici anni ha guidato il seminario diocesano di Cerignola-Ascoli Satriano. Una vocazione adulta, la sua. «Lavoravo in Regione Puglia. Mio padre disse che me ne sarei potuto pentire. La preoccupazione sua, e di tanti genitori qui al Sud, è il celibato. Temono la solitudine. Ho sentito le stesse persone che consideravano in astratto una benedizione avere un figlio sacerdote poi disperarsi: “Proprio a me il Padreterno doveva togliermelo!”».
«I miei sono stati perplessi, ma gli riconosco di non aver provato a farmi cambiare idea. E sì che non ho lasciato molto tempo per abituarsi. A luglio 2005 mi sono laureato in Scienze della comunicazione, e già collaboravo con una radio privata; a settembre ho detto che sarei entrato in seminario; a ottobre ero lì», sintetizza don Daniele Antonello, 31 anni, viceparroco a Manzano (Udine).
Nel 2009 in Italia sono stati ordinati 405 nuovi sacerdoti, sette in più rispetto al 2008. Don Massimo Camisasca, da 27 anni rettore al San Carlo di Roma, ha avuto circa 200 studenti, la metà è diventata sacerdote. «Sono generazioni molto diverse, è come se fossero passati 200 anni. La prima reazione in casa è lo sconcerto, ed è naturale, ci sono tante aspettative su un figlio, magari unico, lo hanno visto laurearsi, portare a casa la fidanzata. Non sono assenti i ricatti affettivi, soprattutto da parte delle madri. Ma infine quando vedono il figlio contento e realizzato si placa tutto».
E voi cosa ne pensate? Se vostra figlia o vostro figlio volessero seguire una vocazione religiosa come reagireste?
(di Elvira Serra – Corriere.it – La 27 ora)
http://www.vocazioni.net/
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