C’è una parola d’ordine che sottostà alla liturgia della Parola di questa domenica dell’Ascensione del Signore al cielo: Andate! Già nella prima lettura degli Atti degli Apostoli troviamo questo invito, che è un imperativo morale, che più volte viene rivolto. L’autore sacro mette subito in chiaro il fatto che Gesù prima di ascendere al Padre abbia dato disposizioni chiare ai suoi discepoli, abbia dato ordini precisi: «Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra».
Ed ecco l’esortazione degli angeli: «Perché state a guardare il cielo?». È un chiaro invito a non atrofizzare la vita della fede, a non lasciar indebolire la passione evangelizzatrice che deve caratterizzare il nostro essere cristiani, a non impedire al Vangelo di abbassare la sua voce, a non paralizzare il cammino dell’annuncio della fede, a non spegnere la passione di un annuncio liberante, a non fermare il palpito di un Vangelo che deve battere nella vita di ogni uomo, a non intiepidire e inaridire la forza dirompente di una Parola che genera e arricchisce la vita di tutti. La fede cristiana non può vivere di incantesimi, ma di incanto, ovvero di un annuncio quasi cantato perché tutti possano percepire la bellezza della Parola del Signore.
Nella breve pericope evangelica Matteo ci riporta le ultime parole di Gesù prima dell’Ascensione: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli». Obiettivo del Maestro di Nazareth è infondere nell'animo dei suoi discepoli la gioia dirompente dell’annuncio. Ecco perché poi dice: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Niente e nessuno deve impedire il cammino del Vangelo, l’annuncio profetico dell’insegnamento di Gesù. Allora cosa celebriamo con l’odierna festa dell’Ascensione? Se l’evento dell’Ascensione di Gesù al cielo può apparire a noi come un evento mistico, non si può dimenticare che questo avvenimento è l’incipit della missione della Chiesa. Celebrare l’Ascensione vuol dire per noi oggi ricordare l’impegno che Gesù ha affidato a ciascuno di noi: annunciare il Vangelo.
Stando alle parole degli angeli non possiamo continuare a guardare nel vuoto di una fede sentimentalista, non possiamo restare ancora fermi sull'uscio dei nostri spiritualismi infondati, non possiamo lasciarci abbagliare da visioni momentanee che non generano una conversione profonda in noi, non possiamo lasciarci attrarre da voci di profeti di sciagure che giocano sui nostri sentimenti e cercano di ipnotizzarci con parole mielose ma che di Vangelo hanno poco o nulla. Celebrare l’Ascensione di Gesù per noi equivale a riappropriarci del nostro destino di annunciatori appassionati e appassionanti di un Vangelo coinvolgente e affascinante, di un Vangelo che deve ancora essere annunciato negli angoli più remoti della terra, di un Vangelo che attende di essere proclamato con audacia e con gioia fino ai confini della terra. Gesù dicendo andate vuole renderci cristiani in uscita, come direbbe oggi Papa Francesco. È vivere la forza dell’evangelizzazione, la bellezza della missione, la straordinaria avventura della testimonianza. Di una testimonianza che chiede a volte il caro prezzo della vita.
Il Papa ci ricorda che «l’evangelizzazione obbedisce al mandato missionario di Gesù» (Evengelii gaudium, 19) che ha dato proprio al momento dell’Ascensione. «La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano» (EG, 24).
Questa domenica dell’Ascensione coincide con l’ultima domenica di maggio e non possiamo non volgere il nostro sguardo sulla testimonianza missionaria di Maria di Nazareth. Ella è la prima discepola missionaria, anticipando il cammino dello stesso suo Figlio. Maria si è fatta portatrice dell’annuncio ricevuto dall’angelo. Quella bella notizia ha scaldato il suo cuore, le ha messo dentro il suo animo il fuoco dell’amore di Dio. Per questo Maria è la prima missionaria. Guardando lei, il suo esempio missionario, desideriamo rivolgerci proprio a lei chiedendole di insegnarci a lasciarci bruciare il cuore dalla Parola del Signore per poterla annunciare con gioia a tutti.
Con gioia e non con risentimenti o con invettive, come amano fare certi cristiani. L’annuncio del Vangelo non si riduce a invettive, a calunnie, a sentenze, a giudizi inappropriati, ma è fatto di gioia e di passione. Come ha fatto la Donna di Nazareth, la quale non ha mai puntato il dito, nemmeno a Giuda che ha tradito la fiducia di suo Figlio. E nemmeno a Pietro che lo ha rinnegato per ben tre volte. E nemmeno ai due discepoli che pretendevano di sedersi uno alla destra e uno alla sinistra del Figlio. Maria ha invece accarezzato i loro volti, li ha baciati, ha fissato i loro occhi e li ha amati. Come suo Figlio. Maria non ha mai provato risentimenti verso nessuno. Ha invece accolto, ha compreso, ha dialogato, ha esortato. Maria si è fatta missionaria nella vicinanza materna e affettuosa verso tutti.
Sia questo il nostro stile missionario per ridonare nuova linfa vitale alla vita della Chiesa e del mondo.
Padre Onofrio Antonio Farinola
sacerdote cappuccino
Ed ecco l’esortazione degli angeli: «Perché state a guardare il cielo?». È un chiaro invito a non atrofizzare la vita della fede, a non lasciar indebolire la passione evangelizzatrice che deve caratterizzare il nostro essere cristiani, a non impedire al Vangelo di abbassare la sua voce, a non paralizzare il cammino dell’annuncio della fede, a non spegnere la passione di un annuncio liberante, a non fermare il palpito di un Vangelo che deve battere nella vita di ogni uomo, a non intiepidire e inaridire la forza dirompente di una Parola che genera e arricchisce la vita di tutti. La fede cristiana non può vivere di incantesimi, ma di incanto, ovvero di un annuncio quasi cantato perché tutti possano percepire la bellezza della Parola del Signore.
Nella breve pericope evangelica Matteo ci riporta le ultime parole di Gesù prima dell’Ascensione: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli». Obiettivo del Maestro di Nazareth è infondere nell'animo dei suoi discepoli la gioia dirompente dell’annuncio. Ecco perché poi dice: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Niente e nessuno deve impedire il cammino del Vangelo, l’annuncio profetico dell’insegnamento di Gesù. Allora cosa celebriamo con l’odierna festa dell’Ascensione? Se l’evento dell’Ascensione di Gesù al cielo può apparire a noi come un evento mistico, non si può dimenticare che questo avvenimento è l’incipit della missione della Chiesa. Celebrare l’Ascensione vuol dire per noi oggi ricordare l’impegno che Gesù ha affidato a ciascuno di noi: annunciare il Vangelo.
Stando alle parole degli angeli non possiamo continuare a guardare nel vuoto di una fede sentimentalista, non possiamo restare ancora fermi sull'uscio dei nostri spiritualismi infondati, non possiamo lasciarci abbagliare da visioni momentanee che non generano una conversione profonda in noi, non possiamo lasciarci attrarre da voci di profeti di sciagure che giocano sui nostri sentimenti e cercano di ipnotizzarci con parole mielose ma che di Vangelo hanno poco o nulla. Celebrare l’Ascensione di Gesù per noi equivale a riappropriarci del nostro destino di annunciatori appassionati e appassionanti di un Vangelo coinvolgente e affascinante, di un Vangelo che deve ancora essere annunciato negli angoli più remoti della terra, di un Vangelo che attende di essere proclamato con audacia e con gioia fino ai confini della terra. Gesù dicendo andate vuole renderci cristiani in uscita, come direbbe oggi Papa Francesco. È vivere la forza dell’evangelizzazione, la bellezza della missione, la straordinaria avventura della testimonianza. Di una testimonianza che chiede a volte il caro prezzo della vita.
Il Papa ci ricorda che «l’evangelizzazione obbedisce al mandato missionario di Gesù» (Evengelii gaudium, 19) che ha dato proprio al momento dell’Ascensione. «La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano» (EG, 24).
Questa domenica dell’Ascensione coincide con l’ultima domenica di maggio e non possiamo non volgere il nostro sguardo sulla testimonianza missionaria di Maria di Nazareth. Ella è la prima discepola missionaria, anticipando il cammino dello stesso suo Figlio. Maria si è fatta portatrice dell’annuncio ricevuto dall’angelo. Quella bella notizia ha scaldato il suo cuore, le ha messo dentro il suo animo il fuoco dell’amore di Dio. Per questo Maria è la prima missionaria. Guardando lei, il suo esempio missionario, desideriamo rivolgerci proprio a lei chiedendole di insegnarci a lasciarci bruciare il cuore dalla Parola del Signore per poterla annunciare con gioia a tutti.
Con gioia e non con risentimenti o con invettive, come amano fare certi cristiani. L’annuncio del Vangelo non si riduce a invettive, a calunnie, a sentenze, a giudizi inappropriati, ma è fatto di gioia e di passione. Come ha fatto la Donna di Nazareth, la quale non ha mai puntato il dito, nemmeno a Giuda che ha tradito la fiducia di suo Figlio. E nemmeno a Pietro che lo ha rinnegato per ben tre volte. E nemmeno ai due discepoli che pretendevano di sedersi uno alla destra e uno alla sinistra del Figlio. Maria ha invece accarezzato i loro volti, li ha baciati, ha fissato i loro occhi e li ha amati. Come suo Figlio. Maria non ha mai provato risentimenti verso nessuno. Ha invece accolto, ha compreso, ha dialogato, ha esortato. Maria si è fatta missionaria nella vicinanza materna e affettuosa verso tutti.
Sia questo il nostro stile missionario per ridonare nuova linfa vitale alla vita della Chiesa e del mondo.
Padre Onofrio Antonio Farinola
sacerdote cappuccino
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