La liturgia della Parola di questa domenica del tempo ordinario sia nella prima lettura che nella pagina del Vangelo ci presenta tra le pagine più intense e più appassionate della Scrittura. Nella prima lettura troviamo una pagina del testo sacro del profeta Geremia, uomo appassionato e appassionante, dalla parola impetuosa e decisa, dalla voce tuonante e convinta, il quale fa una descrizione di se, del suo essere annunciatore scomodo e perseguitato, di una missione da compiere per nulla scorrevole e automatica. Questa lettura profetica è una delle pagine più straordinarie in cui ci imbattiamo aprendo le Sacre Pagine dell’Antico Testamento. Parole coinvolgenti ma allo stesso tempo sconvolgenti quelle di Geremia, che come un dardo infuocato punta dritto al cuore di chi le medita e cerca di farle proprie. «Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre», dice il profeta. E continua: «Mi hai fatto violenza e hai prevalso». Descrivendo la sua ardua missione di annunciatore scomodo, Geremia descrive la passione con cui Dio chiama l’uomo per investirlo di una particolare funzione missionaria. Si tratta di un Dio innamorato dell’uomo, di un Dio che corteggia il chiamato, di un Dio che seduce chi ha adocchiato, di un Dio che sembra far violenza fin tanto che non conquisti il cuore dell’amante. È un Dio appassionato e appassionante. Per questo il profeta è tale, perché è l’amore di questo Dio corteggiatore che lo infuoca. L’amore di Dio è un amore che avvolge, coinvolge e sconvolge la vita dell’amante, del profeta, del missionario, dell’annunciatore. È impossibile restare inermi e insensibili di fronte a questo amore dirompente. Così infatti si chiude la lettura: «Nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo». Impossibile trattenere l’amore effuso dal Signore nel cuore di chi egli ama, del chiamato. È per questo amore ridondante di Dio che san Paolo nella seconda lettura esorta a «offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio».
E Gesù nella pagina evangelica di Matteo richiama il senso di una donazione totale e oblativa della propria persona per rispondere all'amore di Dio Padre. Il Maestro di Nazareth specifica che è necessario “rinnegare se stesso” e che bisogna saper “perdere la propria vita”. Non si tratta di disprezzare la vita, che tra l’altro è il più grande dono che Dio possa fare all'uomo, ma di mettere in gioco la vita per una giusta causa, “per causa mia”, per una causa d’amore; Gesù non incita a bruciare la propria vita inutilmente e per cause meramente umane, ma incoraggia a mettercela tutta perché l’annuncio evangelico sia un annuncio sentito e convinto; il Figlio del carpentiere di Nazareth invita il discepolo a saper lasciarsi coinvolgere dall'amore di Dio e a saper quindi essere un appassionato annunciatore dell’amore stesso di Dio, a farsi abbracciare da un amore vero e sconfinato, un amore viscerale che come un fiume in piena coinvolge l’intera esistenza. Aveva compreso bene don Tonino Bello quando sottolineava che “amare è voce del verbo morire”. Il che “significa decentrarsi. Uscire da se”. Quel “morire” è l’equivalente di ciò che ha detto san Paolo nella seconda lettura, ossia offrire il proprio corpo come un “sacrificio gradito a Dio”; è l’equivalente dell’invito fatto da Gesù quando parla di “rinnegare se stesso” o di saper “perdere la propria vita”; è sinonimo di donazione della propria esistenza per la causa del Vangelo.
Domande: quanto mi appassiona la Parola del Signore? Quanto mi coinvolge il Vangelo? Quanto mi lascio affascinare dalla voce silenziosa eppure dirompente di Dio? Quanto mi lascio sedurre dalla proposta evangelica che Gesù continuamente mi rivolge perché io sia un cristiano-missionario? Quanta passione ci metto per vivere nella vita di ogni giorno il Vangelo e per annunziarlo al prossimo? Quanto realmente mi sconvolgono le “proposte indecenti” che Gesù mi offre per vivere da innamorato di Dio?
Don Onofrio Farinola
E Gesù nella pagina evangelica di Matteo richiama il senso di una donazione totale e oblativa della propria persona per rispondere all'amore di Dio Padre. Il Maestro di Nazareth specifica che è necessario “rinnegare se stesso” e che bisogna saper “perdere la propria vita”. Non si tratta di disprezzare la vita, che tra l’altro è il più grande dono che Dio possa fare all'uomo, ma di mettere in gioco la vita per una giusta causa, “per causa mia”, per una causa d’amore; Gesù non incita a bruciare la propria vita inutilmente e per cause meramente umane, ma incoraggia a mettercela tutta perché l’annuncio evangelico sia un annuncio sentito e convinto; il Figlio del carpentiere di Nazareth invita il discepolo a saper lasciarsi coinvolgere dall'amore di Dio e a saper quindi essere un appassionato annunciatore dell’amore stesso di Dio, a farsi abbracciare da un amore vero e sconfinato, un amore viscerale che come un fiume in piena coinvolge l’intera esistenza. Aveva compreso bene don Tonino Bello quando sottolineava che “amare è voce del verbo morire”. Il che “significa decentrarsi. Uscire da se”. Quel “morire” è l’equivalente di ciò che ha detto san Paolo nella seconda lettura, ossia offrire il proprio corpo come un “sacrificio gradito a Dio”; è l’equivalente dell’invito fatto da Gesù quando parla di “rinnegare se stesso” o di saper “perdere la propria vita”; è sinonimo di donazione della propria esistenza per la causa del Vangelo.
Domande: quanto mi appassiona la Parola del Signore? Quanto mi coinvolge il Vangelo? Quanto mi lascio affascinare dalla voce silenziosa eppure dirompente di Dio? Quanto mi lascio sedurre dalla proposta evangelica che Gesù continuamente mi rivolge perché io sia un cristiano-missionario? Quanta passione ci metto per vivere nella vita di ogni giorno il Vangelo e per annunziarlo al prossimo? Quanto realmente mi sconvolgono le “proposte indecenti” che Gesù mi offre per vivere da innamorato di Dio?
Don Onofrio Farinola
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