Quando Dio diventa il tesoro più grande … !
In questi giorni è diventata virale sulle reti la foto del sacerdote brasiliano dell'Istituto del Verbo Incarnato, Don Jonas Magno de Oliveira, insieme alla madre, suora di vita contemplativa dello stesso carisma.
In un'intervista rilasciata ad ACI Prensa, padre de Olivera ha dichiarato di essere nato in una famiglia cattolica e che all'età di 8 anni è cresciuto in lui l’ interesse per la vita consacrata.
Una storia simile ebbe il nostro Padre Fondatore Beato Luigi Tezza e la sua mamma 166 anni fa, ed ovviamente la notizia si seppe soltanto nei dintorni di Padova. Nella Positio Super Vita, Virtutibus et fama Sanctitatis Beatificationis et Canonizationis Servi Dei Aloissi Tezza1 leggiamo: “[...] Le relazioni tra Luigi e i camilliani ebbero inizio a Padova. Qui Luigi frequentava la chiesa dell’ospedale civile, officiata dai Ministri degli Infermi; vivendo a contatto con loro maturò la sua vocazione [...]”.
Con la prima lettera che Luigi Tezza scrive al P. Luigi Artini, Superiore della Casa di S. Maria del Paradiso e Maestro dei novizi, il 15 settembre 1855, ebbero inizio i primi contatti ufficiali riguardanti l’entrata di Luigi tra i camilliani. Il giovinetto confessa di aver sentito dentro di sé una voce «che mi fa sempre più sentire, la chiamata alla religione di San Camillo» e si ripromette di poter trattare intorno «al dolce affare» della sua vocazione (v. infra, 1).
Il padre Modena scriveva all’Artini il 1° ottobre di quell’anno invitando il destinatario a soprassedere per un anno all’entrata di Luigi postulante a Verona assicurando, per il resto, che l’aspirante «anche adesso è più nostro che di sua madre; è quasi tutto il giorno con noi, così sarà anche per l’avvenire» (v. infra, 2).
I camilliani di Padova erano sinceramente affezionati ai Tezza, significative le due lettere del 19 e 29 ottobre 1856 del Padre Giovambattista Zanoni, anche lui di casa a Padova, nelle quali si riferisce con affetto ai due Tezza, madre e figlio, uniti anche nella vocazione religiosa (v. infra, 3, 4).
Il 29 ottobre 1856 l’adolescente Luigi accompagnato da P. Modena e dalla mamma, Caterina Nedwiedt, fa il suo ingresso come postulante nell’Ordine camilliano nella casa Veronese di S. Maria del Paradiso, accolto dal P. Luigi Artini (v. infra, 7).
Noviziato e Professione solenne
Luigi Tezza inizia il noviziato l'8 dicembre 1856. Il 1857 è, dunque, l'anno intero trascorso da Luigi nel noviziato, «ordinato a far sì che i novizi possano prendere meglio coscienza della vocazione divina quale è propria dell'Istituto, sperimentarne lo stile di vita, formarsi mente e cuore secondo il suo spirito, e al tempo stesso, siano verificate le loro intenzioni e la loro idoneità».
[…] Il 21 agosto di quello stesso anno, 1857, la madre di Luigi vestiva l'abito delle Monache delle Visitazione del Monastero di Padova, presente l’unico figlio Luigi, chierico-novizio.
La notizia è data dal frontespizio di un fascicolo dato alle stampe, dal titolo: «Nel faustissimo giorno 21 di Agosto 1857, quando Caterina Nedwiedt, vedova del Sig. Augusto Dr. Tezza veste l'abito delle Monache della Visitazione nel Monastero di Padova, presente l'unico figlio Luigi, Chierico Novizio de Ministri degl'Infermi».
La stampa riproduce un «sonetto», firmato da P. Gaetano Modena:
ALV2 : Il sonetto è interessante per l’allusione all’affetto che lega madre e figlio e per il dolore causato dal distacco reciproco, paragonato al gesto di S. Francesca Fremiot di Chantal che per seguire la propria vocazione passò sul petto del proprio figlio che, gettatosi sulla soglia di casa, cercava di impedirle l’uscita.
Così recita il sonetto:
«Mentre al mistico vel la fronte
inchina amor di madre la modesta vinse:
il figlio vide, e in volto le si spinse.
Quella che il cor ferìlle acuta spina.
Allora la diva le si fe’ vicina,
e, strazio, disse,
ben più fier mi strinse quel dì
che il caro ad obbliar mi spinse ostello avito,
Carità divina.
Ché mentre il petto dell’invito figlio calcai fuggente,
ahi lo lasciava avvolto fra le procelle dell’uman periglio.
Tu, fortunata, il tuo sereno in volto,
quale in chiuso giardin candido giglio,
all’ombra il vedi della Croce accolto»
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